Bologna: spari, aggressioni, insulti, cappucci abbassati nel buio vicino al centro di accoglienza di via Mattei. La pistola che spara a salve per minacciare prima un richiedente asilo e poi un operatore eritreo è il segno che il razzismo ha fatto un salto di qualità anche nella Bologna democratica e accogliente. Tanto più che non si tratta di un episodio isolato: pochi giorni prima uomini con il volto coperto hanno avvicinato, insultato e aggredito tre richiedenti asilo. Stupisce però il silenzio istituzionale di comune e partiti di maggioranza e opposizione, come pure quello di Prefettura e Questura sempre attente alla sicurezza, ma di chi?
A Bologna come in altre città, c’è evidentemente un problema di sicurezza che riguarda i migranti. Ma non è quello a cui pensa Minniti, insieme alle questure e le prefetture cittadine. È la sicurezza dei migranti ripetutamente colpiti dalle violenze e dai gesti intimidatori di razzisti che agiscono impunemente perché sanno di avere alle spalle un clima d’odio che li legittima. Un clima istituzionale a cui hanno contribuito i rastrellamenti nelle stazioni, gli sgomberi e gli idranti nelle piazze, il “valore della sicurezza” trasformato in spettacolo da Minniti, la cui legge è l’arma migliore per cacciare i migranti dal centro città e spedirli in posti bui e isolati dove diventano preda di razzisti incappucciati. La violenza razzista punta a mettere i migranti nella condizione di avere paura, di attendere in silenzio il momento in cui la macchina dell’accoglienza li sbatterà fuori dal paese, negandogli la richiesta di asilo e consegnandogli un decreto di espulsione.
Non è un caso che questi attacchi a cui abbiamo assistito a Bologna siano avvenuti qualche giorno dopo la rivolta di alcune decine di migranti, stanchi di aspettare per mesi e mesi nell’hub di Via Mattei, che dovrebbe ospitare i richiedenti soltanto per 15 giorni. È questo il segno di un razzismo istituzionale che non solo “sospende” la vita dei migranti in Italia in attesa di documenti che rischiano di non arrivare mai, ma pretende anche di relegarli e isolarli nelle periferie per “sbiancare” il paesaggio cittadino al prezzo di esporre i migranti a un vero e proprio pericolo per la propria sicurezza.
Che cosa stanno facendo allora la Prefettura e la Questura di Bologna per la sicurezza dei migranti? “Accolgono” i migranti in una struttura che ha ancora l’aspetto (e spesso non solo quello) di un carcere, con tanto di filo spinato, per poi ammettere per bocca del Prefetto che la lunga permanenza nell’hub fa sì che «statisticamente» ci sia più possibilità che «certi fenomeni» si verifichino. Diciamo almeno le cose come stanno: mentre in prefettura sono alle prese con le percentuali e i giri di parole, «certi fenomeni» razzisti mettono in pericolo la vita dei migranti. Di sicuro, i numeri che continuano a rimanere alti (460 ospiti), la permanenza prolungata oltre i limiti, l’isolamento dal resto della città, la quasi assenza di illuminazione lungo il mezzo chilometro che separa la fermata dell’autobus dall’ingresso dell’hub, creano l’ambiente ideale affinché vigliacchi razzisti e incappucciati agiscano indisturbati. La sicurezza dei migranti non dipende però solo da questo. E non dipende neanche semplicemente dalla chiusura del centro di via Mattei ipotizzata dal prefetto nel caso in cui i numeri degli sbarchi continuino a calare. Dietro quei numeri si nasconde infatti la realtà brutale dei campi di detenzione in Libia: gli stupri e le violenze quotidiane contro le donne migranti, il lavoro forzato e i morti in mare. È questa per la prefettura di Bologna la sicurezza dei migranti? Per noi la sicurezza dei migranti sta altrove: nella possibilità di muoversi liberamente, di prendere parola per denunciare la condizione di ricatto e sfruttamento in cui viviamo, di lottare contro il razzismo istituzionale che legittima la violenza. Che è il pericolo che fronteggiano ogni giorno a volto scoperto.