Sandra (Si Cobas): Loro fanno le leggi, noi facciamo le lotte. Migranti e richiedenti asilo nella logistica dello sfruttamento/2

Proseguiamo l’inchiesta sulle condizioni e le lotte del lavoro migrante (leggi l’intervista a Papis) incontrando Sandra, membro del sindacato Si Cobas e delegata alla SGT di Bologna, che nelle scorse settimane ha annunciato la liquidazione dell’azienda. Sandra ci parla di una situazione in cui l’azienda, pur avendo tutte le responsabilità, agisce contro i lavoratori, minaccia le lavoratrici se lottano e si iscrivono al sindacato, tenta di isolarle e allontanarle e ora le lascia a casa senza uno straccio di spiegazione o di soluzione. Sandra è qui da 15 anni e pur essendo rumena e non avendo il problema del permesso di soggiorno sa bene come nei magazzini questo venga usato come arma di ricatto. Con questo governo, dice Sandra, la situazione peggiora: molti richiedenti asilo nei magazzini sono trattati come forza lavoro usa e getta. Per lei di fronte a questo attacco la priorità sono la comunicazione e il coinvolgimento, per rompere le divisioni e l’isolamento, per lottare contro chi vuole che i migranti abbiano paura e accettino a capo chino di fare straordinari non pagati, di subire minacce, di ricevere buste paga irregolari, di aspettare in silenzio salari che non arrivano.

Sandra ci parla dell’importanza delle assemblee, delle discussioni tra lavoratrici e lavoratori, migranti e richiedenti, e del coraggio che ha visto l’8 marzo che ha coinvolto direttamente i magazzini della logistica, grazie al protagonismo delle lavoratrici migranti e l’adesione allo sciopero del Si Cobas. Sandra ci parla infine della lotta come di un’arma che hanno tutti e che è necessario solo innescare, “far partire”. Questo “partire” le migranti e i migranti lo fanno dall’inizio quando scelgono di scioperare con i piedi, attraversando i confini. Contro questo governo che attacca i migranti solo per sfruttarli più intensamente nei luoghi di lavoro, “partiamo” sabato 6 aprile con una mobilitazione contro sfruttamento, razzismo e ricatto del permesso di soggiorno e non ci fermeremo.

 

Coordinamento Migranti: Con la mobilitazione del 6 aprile vogliamo portare in piazza la voce di chi tutti i giorni si scontra con il razzismo del governo che ci vuole clandestini e sfruttati. Infatti con la legge Salvini si è creata una situazione per cui mentre le lavoratrici e i lavoratori migranti sono sempre più sfruttati e rischiano di perdere il permesso di soggiorno pur essendo qui da anni, ai richiedenti asilo viene negato il permesso umanitario e gli viene imposto di lavorare sotto il ricatto della Bossi-Fini. Questo crea divisioni tra i migranti ma soprattutto aumenta lo sfruttamento di tutti. Che ne pensi?

 

Sandra: Non potendo ottenere un permesso di soggiorno facilmente, i richiedenti asilo si trovano a lottare per la loro sopravvivenza e devono fare una doppia lotta. Io sono qui da più di 15 anni e ho capito una cosa: se io non combatto per me e anche per gli altri sono costretta ad accettare un sistema che non posso accettare. Ora bisogna comunicare tra di noi contro questo sistema che vuole dividerci e indebolire le nostre lotte.

Oggi non c’è più un lavoro sicuro, non puoi costruirti una vita, aprire un mutuo, comprare casa. Oggi il benessere non esiste più. Non è che lo abbiamo rubato noi migranti agli italiani, noi non lo abbiamo mai avuto e ora non c’è per nessuno!

Oggi da un giorno all’altro ti ritrovi senza lavoro, come sta accadendo con SGT…

 

CM: Ci racconti come sono andate le cose alla SGT?

 

S: Una volta si chiamava Sogetras. I padroni loro hanno rubato e distrutto tutto, dopodiché sono finiti sotto inchiesta e per non dichiarare fallimento hanno venduto le azioni e hanno cambiato nome in SGT dove sono subentrati gli appalti e le cooperative ma con lo stesso padrone. Noi lavoratori abbiamo cambiato molti appalti ma continuando a essere pagati malissimo e spesso in ritardo. Ora dicono che è per colpa degli scioperi che fanno la liquidazione per poi dichiarare fallimento. Ma noi abbiamo ancora i contratti di lavoro, non siamo licenziati perciò stiamo lottando contro la liquidazione perché non possono cacciarci senza dirci nulla.

Nel nostro magazzino tre quarti dei lavoratori sono migranti, rischiamo di perdere i documenti. Sono 75 persone con famiglia e non è colpa nostra se l’azienda è fallita. Non abbiamo avuto nessuna comunicazione. Qualche giorno fa un amministratore della cooperativa è venuto a dirci che se vogliamo i salari dobbiamo andare a fare sciopero alla SDA perché loro hanno ceduto una parte del lavoro a SDA, hanno fatto un accordo, perché SDA vorrebbe il lavoro che SGT svolge per conto delle banche. Noi abbiamo merce di valore nel magazzino: assegni, documenti, biglietti…SGT fa questo servizio per BPER, Monte dei Paschi, Poste Italiane e tante altre. Ma noi sappiamo che non ci deve pagare SDA, ma SGT.

 

CM: Che tipo di contratti avete in SGT?

 

I nostri contratti sono a tempo indeterminato, 8 ore al giorno. Noi donne facciamo il notturno….

 

CM: I turni di notte li coprono solo le donne?

 

S: Sì, perché dobbiamo lavorare e accettiamo quello che troviamo… Sanno che accettiamo. Anche perché dove andiamo? Negli uffici? Siamo troppo vecchie, ci dicono, e troppo giovani per andare in pensione. Così, vecchie o no, ci ritroviamo a fare i turni di notte. Poi una mattina arriva un amministratore e ti dice che l’azienda è fallita, che non hanno i soldi per pagarti. E ti dicono pure che dovresti fare sciopero nell’altra azienda che secondo loro gli ha rubato il lavoro. Capito il giochino? Vogliono litigare tra loro strumentalizzando noi. Per anni abbiamo dovuto fare uno sciopero al mese per avere la busta paga e ora vengono a dirci che non è colpa loro.

Durante queste lotte hanno provato a dividerci in tutti i modi. Quando mi sono iscritta al sindacato il capo-area regionale ha provato a minacciarmi, poi hanno cercato di isolarmi… Avevo anche un altro problema, che era il maschilismo nel magazzino. Gli altri delegati maschi non mi volevano e mi dicevano che una donna non deve fare la delegata, che le donne non devono parlare. E perché non devono parlare? Io ci tengo alla mia dignità e parlo. Ne ho diritto. Come ho diritto al mio salario. All’inizio ho lottato da sola. Ho parlato sempre davanti a tutti. Qualcuno ascolta, qualcuno no, ma io vado avanti. Non mi adeguo a questo sistema perché è sbagliato.

 

CM: Stiamo riscontrando una tendenza diffusa a mettere al lavoro i richiedenti asilo. Anche nel vostro magazzino c’è questa situazione?

 

S: Sì, e ora con la legge Salvini la situazione peggiora. Cosa faranno tutti questi migranti che non ottengono il permesso?

 

CM: Secondo te come si può cercare di rafforzare le lotte che ci sono e allargarle, in modo tale che le condizioni sempre più diverse che questo sistema di sfruttamento e questo governo stanno producendo non diventino divisioni?

 

S: La prima cosa è comunicare. Dobbiamo parlare tra noi per capire le nostre condizioni e aiutarci. Non è vero che i migranti non sono stati integrati nel “mondo dell’Italia”. Anzi, noi conosciamo più leggi e diritti degli italiani e per questo ci stanno bloccando, ci impediscono di andare a rivendicare le cose che noi sappiamo che ci spettano. Io non sono venuta dal mio paese perché mi piaceva l’Italia. Da noi in Romania c’era la rivoluzione e con Ceaușescu eravamo affamati. Ho fatto sacrifici, ho imparato la lingua, sono autonoma e voglio i miei diritti. Per questo bisogna parlare, dire le cose, non stare mai zitti. Il problema è anche il caporalato e con i capi o ti fai sentire o vieni schiacciato. Il mio capo è arrivato a contattare il mio compagno per dirgli che lui doveva farmi ritirare l’iscrizione ai Si Cobas. Pensava di potermi mettere un pugno in bocca parlando con mio marito, ma io l’ho denunciato.

Noi stiamo in magazzino anche 10-12 ore per colpa dei capi appalto, fuori dal contratto, pagati in nero. Ti chiedono di non fare la pausa, di recuperare la mezz’ora di pausa. Ti chiedono qualunque cosa.

 

CM: Come Coordinamento Migranti pensiamo che sia il momento di tornare a parlare di Bossi-Fini e di spiegare in che modo il decreto Salvini rimette al centro il ricatto del permesso di soggiorno creando differenze e divisioni tra operai. Nei posti di lavoro si può accumulare una forza che poi deve trovare anche sbocchi politici per rimettere al centro dell’attenzione lo sfruttamento migrante. Com’è possibile secondo te rompere queste divisioni in un momento in cui stanno cercando di colpire le lotte criminalizzando lo sciopero e i blocchi?

 

S: Loro fanno le leggi. Ma noi facciamo le lotte. Dobbiamo farci sentire e non farci spaventare. Per fare questo bisogna andare a parlare con tutti, con le donne operaie, con i richiedenti asilo, bisogna creare comunicazione in tutti i posti, anche fuori dai magazzini, perché tutti si sentano di poter rispondere a questa situazione. Bisogna fare assemblee in luoghi diversi, unirsi in coordinamenti, momenti di confronto, perché tutti vogliono parlare ma non sanno con chi. Io mi sono iscritta ai Si Cobas per la mia libertà, quando i capi hanno cominciato a toccare i miei cari, la mia famiglia e io ero isolata, volevano minacciarmi per allontanarmi. Volevano farmi paura e invece si ritrovano una denuncia e una delegata.

Bisogna parlare tra noi, raccontarci le nostre situazioni e lottare insieme. Questo vale anche dentro casa non solo a lavoro. Non funziona che io cucino e tu riposi, perché anch’io ho lavorato e te lo dico: si dividono i compiti perché io non ho il padrone anche a casa. L’8 marzo sono stata con le operaie di Italpizza perché sono fiera del loro coraggio.

 

C’è chi ha paura, ma è soprattutto perché non viene ascoltato. Se ascoltiamo, riusciamo anche a dare coraggio, parlare delle proprie esperienze e del proprio vissuto. Per uscire dal tunnel in cui siamo dobbiamo comunicare, perché anche io prima di cominciare a lottare ero in quel tunnel. Solo comunicando questa possibilità di lotta è possibile rompere l’isolamento. Non si lotta mai solo per se stessi. Se dai un input tutti hanno qualcosa da dire, tutti vogliono parlare. Isolarsi fa male, stai male, perdi la dignità. Il coinvolgimento degli operai è tutto, bisogna ascoltare chi è isolato.

Mi hanno detto tante volte “tranquilla”, ma io continuo a rispondere che “tranquilla non sono”. Non dobbiamo aspettare, dobbiamo partire. Se non lotti sei sola, sei persa.