Morire sulle strade della grande fabbrica dell’Interporto

Finire un turno di lavoro e camminare per chilometri per raggiungere un mezzo che ti riporti a casa. È ciò che succede giorno e notte a centinaia di migranti che lavorano nella più grande fabbrica dell’Emilia-Romagna: l’Interporto di Bologna. Questo è ciò che anche Ogbemudia Osifo, giovane nigeriano, stava facendo lo scorso 23 dicembre, quando è stato investito e ucciso da un’auto.

La notizia è passata sotto silenzio, ma non si tratta di un incidente. Un incidente è un fatto improvviso e imprevisto, per i migranti invece raggiungere l’Interporto a piedi, in bicicletta o in monopattino, percorrendo una strada pericolosa che ha già fatto molte vittime, è la normalità. Soprattutto i lavoratori a chiamata dei magazzini, per lo più richiedenti asilo che non hanno auto e lavorano spesso la notte, sono costretti ad attraversarla continuamente. Mentre l’Interporto non dorme mai, i pochi autobus che lo raggiungono non garantiscono alcun servizio dalle 19 alle 5.30. Questo è il modo in cui la democratica Regione Emilia-Romagna ignora la sicurezza di chi garantisce quotidianamente che la merce arrivi nelle case, in negozi e supermercati, specie durante questa pandemia, quando il lavoro migrante è diventato sempre più essenziale, che sia nei magazzini o nelle fabbriche, nelle consegne a domicilio o nelle pulizie degli ospedali. Le strade tra l’Interporto e le stazioni di San Giorgio o di Funo sono pericolose, talvolta mortali. I migranti non accettano di dover percorrere chilometri e chilometri di notte per andare a lavorare. Mentre la Regione, il Comune di Bologna e la città metropolitana rimangono in silenzio per non sporcare l’immagine civile e accogliente di un territorio la cui economia tecnologicamente avanzata si avvale del brutale sfruttamento del lavoro migrante, aziende della logistica, cooperative della Lega Coop e agenzie interinali non si preoccupano minimamente di fornire ai lavoratori i mezzi per poter andare e tornare dal lavoro. Anzi, i trasporti interni all’Interporto spesso sono accessibili soltanto a dipendenti diretti. Spesso per i migranti fare gli straordinari, che in molti magazzini è buona pratica non retribuire, significa uscire di casa o dal lavoro in piena notte, camminare chilometri e attendere ore il primo treno dell’alba.

Dietro la morte di Ogbemudia Osifo c’è la responsabilità di padroni e istituzioni che quando si tratta di migranti si voltano dall’altra parte al punto da permettere che in centinaia rischino ogni giorno la vita.

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