Contro la vita da ‘straniere’ e il lavoro da migranti: l’8 marzo il nostro sciopero femminista

Come Assemblea donne del Coordinamento migranti in questi mesi abbiamo dato voce alle lotte essenziali delle migranti. Lotte che hanno mostrato che non è possibile sconfiggere sfruttamento e patriarcato senza combattere insieme contro il razzismo. Gli scioperi delle donne migranti che stiamo alimentando e sostenendo da mesi, assieme alle operaie della Yoox e non solo, sono l’essenza dello sciopero femminista. Lottare contro uno sfruttamento che si fa più intenso e violento quando si dipende da un permesso di soggiorno, quando si hanno figlie e figli nati qui che non sono cittadini, lottare contro un maschilismo che è legittimato dal fatto che siamo migranti e perciò costrette ad accettare salari e contratti che arricchiscono solo i padroni e ci espongono alla violenza, lottare contro un razzismo che ci colpisce di più in quanto donne, che ci fa dipendere dai documenti dei mariti, che ci costringe nel lavoro domestico e di cura o ai turni assurdi delle fabbriche o in campagna, che ci fa pesare il colore della nostra pelle. Tutto questo significa portare avanti una lotta che riguarda tutte le donne, migranti e non, e che combatte lo sfruttamento di tutte e tutti.

Quest’anno, l’8 marzo arriva in un contesto diverso dai precedenti. In tutto il mondo il movimento globale delle donne è stato costretto a ripensarsi. Nuovi percorsi transnazionali di lotta si sono rafforzati proprio per far fronte a quegli spazi che la pandemia sta chiudendo e per rispondere all’offensiva dei governi che ne stanno approfittando. Lo sciopero femminista di quest’anno deve far esplodere questa forza e deve essere uno sciopero essenziale e transnazionale, che metta al centro le nostre vite come donne e come migranti e le nostre lotte contro sfruttamento, patriarcato e razzismo, perché attorno alla violenza di questo intreccio si gioca per tutte e tutti la possibilità di ottenere la libertà che vogliamo. Solo se il nostro femminismo parte da queste lotte potrà rispondere alle sfide che abbiamo davanti. Solo partendo dal senso politico di queste lotte i movimenti e i sindacati possono essere uno strumento di potenziamento.

L’8 marzo la battaglia contro il razzismo non può essere soltanto una parte tra le tante della mobilitazione femminista, perché proprio il razzismo patriarcale sarà un pilastro centrale nella fase di «ricostruzione». Il Family Act progettato dal governo per garantire la conciliazione tra lavoro e maternità, così come l’inclusione selettiva e gerarchica delle donne nel mercato del lavoro escluderà la maggior parte delle migranti. Per ottenere l’“assegno unico per il figlio”, infatti, bisognerà avere un contratto di lavoro di almeno 2 anni o la carta di soggiorno. Sono criteri da tempo impossibili, ancor più durante la pandemia. La maggior parte delle migranti escluse dall’assegno unico dovrà perciò lavorare il doppio per vivere e garantire un futuro ai propri figli e figlie. Magari lavorerà in cambio di un salario come babysitter per altre madri che otterranno l’assegno unico previsto dal Family Act. E in tutti i casi saranno proprio i loro figli e le loro figlie a pagare un prezzo altissimo.

Altre misure di questo tipo si preannunciano ovunque, come se i sacrifici che ci sono stati imposti finora non fossero abbastanza: i bonus e il reddito che non abbiamo ricevuto, la sanatoria estiva che ha di fatto stabilito che per le migranti l’unica conciliazione prevista è quella tra lavoro salariato, lavoro domestico malpagato e lavoro di cura gratuito. Lo dimostrano le “misure sanitarie anti-Covid” utilizzate come scusa per imporre turni impossibili, aumentare il carico di lavoro riducendo le pause e diminuire il salario cancellando i buoni pasto. Dopo 11 mesi, la maggior parte di noi sta facendo nel migliore dei casi un doppio lavoro, perché con la scusa del Covid-19 son stati imposti part-time arbitrari o perché la cassa integrazione, quando arriva, non basta neanche per fare la spesa, figurarsi pagare gli affitti. E allora un secondo lavoro, spesso in nero, è un obbligo e non un’alternativa. Come è un obbligo che questi secondi lavori, specie quando siamo migranti, siano quelli della badante o della domestica. Il lavoro “da donne” e “da straniere” non passa mai di moda e la regolarizzazione di alcune non ha certo risolto il problema di tutte. D’altra parte, è una lezione che cercano di darci già a scuola, dove le gerarchie razziste e di classe sono riaffermate ancora più duramente con la pandemia.

Se la lotta contro la violenza patriarcale non si schiera contro il razzismo istituzionale che amplifica lo sfruttamento delle donne migranti, la libertà per cui lottiamo non potrà mai essere davvero collettiva. Come ha dimostrato lo sciopero delle operaie migranti di Yoox, è possibile trovare il coraggio di lottare anche nelle condizioni più difficili e far sentire la propria rabbia insieme, come dovrà essere l’8M.

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