Musa Balde è stato trovato morto ieri nella sua cella del Cpr di Torino. Il 9 maggio era stato preso a sprangate da tre italiani a Ventimiglia, poi portato in ospedale dal quale è stato dimesso con prognosi di 10 giorni.
Dall’ospedale però è stato rinchiuso nel Centro di Permanenza e Rimpatrio di Torino perché irregolare e messo in isolamento “per motivi sanitari”.
Il razzismo, il silenzio e la complicità delle istituzioni, hanno assassinato Musa, al quale, secondo alcune testimonianze dall’interno del centro, erano state negate le richieste di aiuto e di soccorso per i dolori che nonostante la prognosi rilasciata dai medici dell’ospedale, erano ignorate dagli operatori, dalle guardie e dallo staff medico del centro di detenzione.
Gli altri prigionieri del Cpr hanno iniziato uno sciopero della fame e una protesta collettiva perché queste condizioni di vita e di detenzione non sono accettabili per nessuno. Come ha raccontato l’avvocato che lo seguiva, Musa continuava a dire di volersene andare perché non si capacitava di essere finito lui in cella dopo essere stato brutalmente picchiato.
Musa Balde è morto perché colpito dalla violenza razzista, fisica e istituzionale, perché un pezzo di carta per le istituzioni vale più della vita, perché se hai la pelle nera e sei senza permesso, non importa ciò che hai subito e quale è tuo stato fisico o psicologico: sei comunque tu a finire in cella in isolamento.
Questa violenza istituzionale razzista, che un anno fa dopo l’omicidio di George Floyd ha fatto scoppiare una rinnovata rabbia e sollevato proteste in tutto il mondo, è la faccia più brutale di una violenza quotidianamente esercitata contro i migranti.
È la violenza che hanno subito le migliaia di migranti arrivati dal Marocco a Ceuta, ricevuti con l’esercito e immediatamente sottoposti alle procedure di rimpatrio. È la stessa che, il mese scorso, ha subito la donna afgana di 26 anni, madre di due figli e incinta di un terzo, che, dopo aver ricevuto il diniego al trasferimento in Germania si è data fuoco nel campo di Hare Tape a Lesbo, venendo poi accusa di incendio doloso. È la violenza che ad aprile ha colpito un gruppo di braccianti migranti nel foggiano, che già costretti a sottostare a condizioni di lavoro insostenibili, sono stati presi a fucilate da razzisti italiani nel silenzio delle istituzioni. È la stessa che subiscono tutti i migranti rinchiusi nei campi di Lesbo, dove sono quotidianamente sottoposti al «racial profiling» che controlla ogni loro spostamento, o che subiscono i migranti nel centro Mattei di Bologna, che sono ammassati in camerate da 15 persone nonostante l’emergenza sanitaria e sono coloro che permettono all’Interporto di Bologna di funzionare, lavorando per un salario da fame. È la stessa violenza che subiscono tutti i migranti che sono costretti a dipendere dal ricatto del permesso di soggiorno. Questo razzismo istituzionale è quanto la nuova Europa resiliente ci promette con il suo Nuovo patto su migrazioni e asilo, che non farà altro che affinare il filtraggio degli arrivi e moltiplicare i respingimenti.
Noi siamo dalla parte di Musa Balde, dalla parte di tutti quelle e quei migranti che quotidianamente rifiutano di subire tutto questo e che lottano per potersi spostare liberamente dove ci sono migliori condizioni di vita. Siamo con i migranti che nel CPR di Torino sono detenuti e che ora stanno protestando. Non vogliamo più dover chiedere il permesso per vivere. Ci vogliamo vivi e ci vogliamo liberi.
Qui l’evento per il presidio di oggi a Torino https://fb.me/e/dGCs3fxGI