Cento giorni di zelante razzismo: la guerra di Giorgia contro i e le migranti

Da cento giorni la destra al governo ha messo in campo una vera e propria guerra contro gli uomini e le donne migranti. Nelle prefetture e nelle questure, nei tribunali, nelle strade e fin dentro ai bar, l’aria che tira sta diventando sempre più irrespirabile e impregnata di razzismo. A Padova Oussama Ben Rebha si è gettato nel fiume Brenta a seguito di un controllo dei documenti da parte della polizia, ma dopo il ritrovamento del suo corpo gli inquirenti non hanno ritenuto necessario controllare le videocamere per ricostruire la dinamica che ha portato alla sua morte. A Bologna, le regole dell’accoglienza stanno sbattendo fuori dal centro Mattei decine di migranti, in pieno inverno e con una manciata di giorni di preavviso, perché se guadagni 500 euro al mese secondo la Prefettura puoi trovare facilmente casa in una città dove il costo degli affitti è alle stelle e dove la maggior parte dei proprietari si rifiuta sistematicamente di affittare a neri e stranieri.

Ad assicurare ai padroni e ai burocrati un agevole riparo per i loro soprusi e il loro arbitrio ci sono leggi razziste alle quali gli organi di questo governo si impegnano a dare zelante esecuzione. “I migranti conoscono le regole del gioco”, ha detto la Prefettura di Bologna in faccia a chi chiedeva più tempo per trovare una casa e non dormire in strada al gelo. Le regole del gioco che i migranti dovrebbero accettare sarebbero quelle che lasciano uomini e donne dormire in strada e morire di freddo, come è successo a Foggia, dove due migranti sono morti intossicati provando a ripararsi dal freddo in una baraccopoli, o a Milano, dove Issaka Coulibaly, portiere di una squadra di calcio locale di rifugiati, è stato trovato morto in un casale abbandonato dove era costretto a dormire dopo aver perso i documenti. Sono le regole del ricatto, che impongono condizioni di lavoro e di vita povere e precarie per avere un permesso di soggiorno che ormai non assicura nient’altro se non la semplice sopravvivenza.

È la legge del bastone che questo governo vorrebbe insegnare ai migranti e alle migranti ancor prima che arrivino in Europa. La stretta sui confini che il governo sta praticando e i “muri marittimi” che si stanno contrattando con le istituzioni europee hanno l’obiettivo di mostrare fin da subito qual è il costo che si vuol far pagare a chi osa aprire e attraversare brecce nelle politiche migratorie. Mentre Frontex rafforza i confini sul fronte orientale, il governo Meloni si sta adoperando attivamente affinché i salvataggi in mare diventino sempre più complessi e rischiosi. Le ONG non possono compiere più di un salvataggio alla volta e devono portare i migranti nel primo porto sicuro loro assegnato. Non è un caso che questi porti siano sempre più a nord. Compiere salvataggi in mare è sempre più dispendioso, mentre i migranti vengono sballottati da una parte all’altra del paese nell’incertezza più totale.

D’altra parte, la guerra in Ucraina e la crisi sociale, politica ed economica che sta travolgendo tutte e tutti sono un utile pretesto per colpire ancora più duramente i migranti e le migranti. Mentre reclama per tutte e tutti il sacrificio del presente in nome della guerra, questo governo impone a uomini e donne migranti di rinunciare definitivamente al proprio futuro. Mentre raschia il fondo delle finanze, ha trovato il modo di stanziare 42 milioni da investire per i CPR. Per assicurare un po’ di gas alle imprese italiane nella crisi energetica, la presidente del consiglio ha scelto di barattare la vita e i desideri di migliaia di uomini e donne, consegnandoli ancora una volta nelle mani delle autorità libiche. Questo è il patto che ha firmato in Libia e che renderà la migrazione dal Nord Africa sempre più difficile: ulteriori controlli di qualche gruppo armato libico sulle partenze, ancora più sangue nei centri di detenzione. Ma d’altra parte, la stessa scelta ipocrita di concedere la protezione temporanea immediata e lo status di profughe alle donne ucraine, con il tempo si è rivelata una semplice messinscena. A distanza di un anno dall’inizio della guerra, anche le donne ucraine sono ributtate nel girone infernale della burocrazia razzista. I ritardi per il rilascio del permesso di soggiorno e l’arbitrario diniego di certificare la loro residenza sono solo l’altra faccia della medaglia di un razzismo che, anche quando dispensa umanitarismo, sostiene la violenza e rende sempre più difficile lottare.

La rinnovata violenza dello zelo burocratico e dei confini, quando non uccide serve il caro e vecchio obiettivo: mettere i migranti a lavoro a qualsiasi condizione. La gerarchia nei luoghi di lavoro, prima praticata in modo flessibile o rigida a seconda dei casi, con questo governo è diventata feroce, a sostegno di un attacco più generale contro lavoratrici e lavoratori. Ne è un esempio il nuovo decreto-flussi, che porta un passo più avanti l’attacco sistematico al reddito di cittadinanza, di per sé una misura che taglia fuori i migranti che per ottenere il permesso di soggiorno hanno bisogno di un contratto di lavoro. Secondo il nuovo decreto che regola gli ingressi, infatti, i migranti non stagionali potranno entrare in Italia ed essere assunti solo nel caso in cui non ci sia nessun percettore di reddito di cittadinanza disposto ad accettare quel lavoro. Questo non varrà, tuttavia, per i lavoratori stagionali, che potranno continuare ad essere chiamati da fuori o attingendo ai bacini della clandestinità per essere sfruttati nei campi, sulle spiagge e negli alberghi. Anzi la loro assunzione viene semplificata: sarà sufficiente che il datore di lavoro comunichi l’assunzione di un migrante allo sportello unico affinché venga regolarmente sfruttato alle condizioni del padrone di turno. È evidente che per il governo i migranti servono, a patto però che vadano a riempire il vuoto di manodopera di settori caratterizzati notoriamente da condizioni di povertà, informalità e invisibilità. È quello che accade anche d’altra parte con le lavoratrici domestiche, le grandi assenti del decreto flussi. Del resto, mentre si discute l’adeguamento salariale di colf e badanti e si prospetta un aumento di 100 euro dei minimi contrattuali, i datori di lavoro agitano lo spettro del lavoro nero, dei licenziamenti e, per scongiurare aumenti in un periodo di inflazione, fanno leva sul carattere essenziale di questi lavori. Per tutti gli altri lavoratori migranti l’ultima circolare sulla gestione dei flussi apre le porte a 82 mila “unità” che potranno entrare in Italia per lavorare dove serve. Per la nostra presidente e l’ex-Prefetto Piantedosi, ora ministro degli Interni, le e i migranti sono un problema quando si tratta di portarli in salvo, ma sono anche una risorsa da sfruttare nei campi agricoli, nei magazzini della logistica, nelle piccole imprese del sud e del nord, nelle case e negli ospedali ad assistere anziani, bambini e malati.

Anni di razzismo istituzionale sono riusciti a isolare progressivamente le lotte dei migranti e a inasprire il comando sul loro lavoro. È con questa realtà di frammentazione, razzismo e sfruttamento che dobbiamo fare i conti, sapendo che si tratta di un processo che non è certo iniziato con il governo Meloni, ma che questo governo ha trasformato in qualcosa di apparentemente inscalfibile. L’antirazzismo suona ormai come un coro stanco, mentre i movimenti che pure tra molte difficoltà si erano aperti negli anni passati – dalla rivendicazione dei porti aperti a Black Lives Matter – sembrano del tutto spaesati e incapaci di incidere sulla vita delle e dei migranti. Come era prevedibile, di cittadinanza alle seconde generazioni non si sente più parlare, a dimostrazione di come anche la cosiddetta sinistra istituzionale abbia voltato del tutto le spalle ai migranti, impegnata come è a risolvere questioni di leadership interna più che a fare opposizione al progetto meloniano degli “italiani sopra tutto”. La realtà è desolante, non nascondiamocelo. Guardarla in faccia significa però riconoscere che solo insieme alle donne e agli uomini migranti è possibile costruire un’opposizione reale e di massa alla politica di guerra contro donne, precari, operai, persone Lgbtqi+ che impegna quotidianamente questo governo. Solo a partire dalle lotte delle e dei migranti è possibile cioè sfidare un ordine che si serve di razzismo e patriarcato per rendere digeribili salari sempre più poveri e costi sempre più alti per tutte e tutti, migranti e non. Solo connettendo le nostre lotte è possibile rovesciare l’isolamento in terreno di lotta comune, il silenzio in rabbia e lo sfruttamento in insubordinazione.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *