di TRANSNATIONAL MIGRANTS COORDINATION
Almeno 69 migranti – uomini, donne e bambini – sono morti a un centinaio di metri dalla spiaggia di Cutro, in Calabria, dopo che una barca partita da Smirne è stata disintegrata dalla forza del mare agitato. Non ci interessa stabilire se la responsabilità sia di Frontex o della guardia costiera italiana, perché si è trattato di una strage annunciata. Il governo italiano di estrema destra fa della guerra ai migranti un pilastro della sua politica. Oltre a promuovere un discorso pubblico apertamente violento e razzista nei confronti dei migranti, ostacola sistematicamente l’intervento delle ONG nelle operazioni di ricerca e soccorso, stringe accordi con Libia, Algeria e Tunisia per tenere i migranti fuori dal proprio territorio e contemporaneamente emana un decreto flussi che “legalizza” lo sfruttamento di manodopera a basso costo impiegata in lavori altamente informali e invisibilizzati. Dal canto suo, l’Unione Europea – che attraverso le parole di Ursula von der Leyen si dice “profondamente addolorata” – ha stabilito, nel suo ultimo vertice, di destinare nuovi finanziamenti al respingimento dei migranti e di stringere nuovi accordi di collaborazione con paesi terzi (sia in Africa che nell’est) per impedirne la partenza. La cosiddetta “rotta calabrese” – il collegamento diretto tra Turchia e Italia lungo cui aveva viaggiato la nave naufragata in Calabria – è la più lunga, la più costosa e la più pericolosa per i migranti che, tuttavia, scelgono ancora di percorrerla perché sanno che la via più breve, quella verso la Grecia, di solito porta a quei respingimenti armati verso la Turchia che rendono la Commissione Europea tanto orgogliosa. Giusto il mese scorso, nell’annunciare l’estensione del muro al confine con la Turchia, la Grecia aveva dichiarato di farlo per “difendere l’Europa”.
Come Transnational Migrants Coordination, dall’Italia, dalla Grecia, dalla Turchia e dai Balcani rivendichiamo la libertà di movimento per tutte le migranti e tutti i migranti che, nonostante la securitizzazione e la militarizzazione dei confini, la violenza, la pericolosità dei viaggi e il ricatto dei documenti, continuano ad attraversare le frontiere per ottenere migliori condizioni di vita.
Alcuni dei migranti che hanno perso la vita prima di raggiungere la Calabria provenivano dalla Turchia, paese colpito dal terremoto e dal malgoverno di Erdogan. Da tempo l’UE finanzia la Turchia perché funga da hub per la detenzione dei migranti, e ora sta applicando politiche più severe per impedire la partenza delle vittime del terremoto. Altri provenivano dall’Afghanistan, dove i talebani vietano alle ragazze di studiare e alle donne di lavorare. Nonostante la condanna del regime islamista, l’UE non garantisce vie d’accesso sicure né riconosce il diritto d’asilo alle cittadine afghane. Dall’Afghanistan all’Iran, dall’Ucraina alla Siria e alla Turchia, migliaia di migranti fuggono ogni giorno da guerre, miseria, patriarcato e violenza. Ciò a cui vanno incontro è la morte in mare e alle frontiere o, in alternativa, condizioni di vita all’insegna della violenza e del razzismo quando raggiungono l’Europa. Centri di accoglienza invivibili, lavoro in nero, razzismo istituzionale, lavoro di cura sottopagato, sfruttamento nei campi e nelle fabbriche e, sempre più spesso, ordini di rimpatrio sono infatti il pane quotidiano dei migranti in UE. Il trattamento differenziale riservato alle rifugiate ucraine, per le quali è stata attivata la direttiva sulla protezione temporanea salvo poi, una volta sistemate, abbandonarle alla realtà del razzismo istituzionale, non fa che evidenziare l’atteggiamento strumentale, ipocrita e razzista dell’Europa nei confronti dei migranti. Non accettiamo che i migranti siano costretti a pagare le disuguaglianze globali e la crisi che stiamo vivendo – dalla guerra in Ucraina al terremoto in Siria, Kurdistan e Turchia, dalla crescita dell’inflazione e del costo della vita alla crisi energetica – al prezzo della loro vita e del loro lavoro. Il ministro dell’interno italiano ha denunciato l’irresponsabilità di chi parte, mettendo a rischio la propria vita e quella dei propri figli, e rifiutando di assumersi la responsabilità per le difficoltà in cui versa il proprio paese. Noi, al contrario, ci schieriamo dalla parte di chi rischia la vita alla ricerca di un’esistenza migliore, scegliendo la libertà e rifiutando l’oppressione e lo sfruttamento a cui altrimenti sarebbe condannato. In un contesto sempre più segnato dalla politica di guerra, non possiamo poi non sottolineare il coraggio di uomini e donne che rifiutano di farsi arruolare in questo gioco mortale. Contro ogni tentativo di colpevolizzare i migranti, riteniamo che l’Unione Europea e i suoi stati membri siano interamente responsabili per tutte le morti lungo le rotte verso i confini europei. Come Transnational Migrants Coordination reclamiamo libertà di movimento e documenti per tutti, libertà dallo sfruttamento e dalla violenza, accesso all’assistenza sanitaria, alla casa e a migliori condizioni di vita.