Sul capodanno di Milano: non è una cultura che non funziona, è il patriarcato in funzione

A Milano la notte di Capodanno sono state molestate, palpeggiate e insultate decine di ragazze. Noi stiamo dalla parte di queste ragazze, sosteniamo il coraggio con cui hanno preso parola incoraggiando altre a farlo, continueremo a lottare come abbiamo sempre fatto contro la violenza patriarcale e al fianco di chi non è più disposta a subirla.

Sulle violenze di Milano, però, ci sono state prese di posizione che non possiamo accettare. Giornalisti e commentatori si sono affrettati a cercare le radici culturali dell’accaduto, sottolineando che gli aggressori sono di origine straniera. C’è chi ha affermato che criticare il patriarcato è un’assurdità, perché si tratta di una “forma di civiltà” che garantisce alle donne la tutela di padri, mariti, fratelli. Altri hanno messo in primo piano la classe degli aggressori, parlando di “manovali di periferia” che per una notte vogliono sentirsi padroni. Sono spiegazioni apertamente razziste, patriarcali, e che manifestano un chiaro disprezzo per chi deve guadagnarsi un salario. Con la vista annebbiata dalla deferenza verso i padroni – che a quanto pare in quanto tali sarebbero legittimati a stuprare le donne – e dal disprezzo verso chi lavora e ha la pelle scura, la stampa dimentica il fatto che a compiere le violenze di piazza Duomo a Milano sono stati degli uomini. La cultura che genera la violenza è quella patriarcale e ha ben poco a che fare con la provenienza geografica o la religione che viene professata. Alcuni hanno detto che il patriarcato non esiste più. Il punto è invece che funziona così bene che è ormai invisibile. Noi donne, lavoratrici, migranti ne facciamo esperienza in modi diversi, in pubblico e in privato, per le strade e nelle case, sui confini e sul posto di lavoro. In tutti questi luoghi, il razzismo viene usato continuamente per privarci della nostra libertà. I nostri presunti ‘protettori’ sono padri, mariti, fratelli che usano il permesso di soggiorno dal quale dipendiamo per obbligarci ad accettare la violenza. La nostra condizione di operaie, lavoratrici, povere rende ancora più difficile ribellarci a un marito violento o a un padrone che ci molesta, se il nostro salario basta appena per vivere o se non lo abbiamo affatto. Chi, denunciando i fatti di Milano, alimenta razzismo e classismo sta riproducendo le condizioni sociali che ci opprimono a livello globale.
A chi pensa di cogliere l’occasione degli aggressori “stranieri” per poter dire “questa roba non ci riguarda, non è un nostro problema” noi rispondiamo che il problema è proprio questa colpevole e ipocrita cecità: la forza viva del patriarcato è proprio in questa deresponsabilizzazione. Il fatto che gli aggressori di Milano fossero migranti o figli di migranti non ci impedisce affatto di prendere parola contro la loro violenza. Sappiamo fin troppo bene che la violenza contro le donne non ha colore, né religione, né cultura, ma solo un sesso, e che per combatterla è necessario opporsi anche al razzismo e allo sfruttamento. Ora più che mai, anche pensando ai nuovi piani di ricostruzione del governo, questo deve essere centrale anche verso l’8 marzo di quest’anno. Questo è il nostro femminismo. Parteciperemo all’assemblea nazionale di Non Una di Meno del 22 e 23 gennaio per dare forza a un movimento che è nato riconoscendo che la violenza maschile e patriarcale riproduce le gerarchie razziste e di classe della società, e che possiamo rovesciarle solo costruendo una forza collettiva.

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