L’Europa del razzismo umanitario e le lotte dei migranti ai tempi del governo Meloni

Da qualche giorno sulle coste del mediterraneo va in scena un film già visto. Sentiamo parlare di un “carico residuale” di migranti da rispedire indietro, di “sbarchi selettivi” di donne, uomini e minori che hanno avuto l’ardire di attraversare il deserto, sopravvivere ai lager libici e mettersi in mare per raggiungere le coste Italiane. È l’ennesima e prevedibile dimostrazione della incrollabile fede dei governi italiani nel razzismo istituzionale. D’altra parte, appena qualche giorno fa il nuovo governo ha riconfermato, come prevedibile, il Memorandum Italia – Libia, firmato nel 2017 dal Governo Gentiloni e rinnovato già due volte. Un accordo che dal 2016 ha ridotto gli sbarchi grazie alle motovedette libiche che arrestano, torturano e uccidono donne e uomini macchiati del reato di desiderare una vita diversa.

L’orrore delle parole usate negli ultimi giorni da Piantedosi rivela una dura verità: di questi uomini e di queste donne migranti si parla ormai come se fossero merci – anzi peggio – , del tutto in linea con la legge italiana, gli accordi internazionali e le politiche europee che ogni giorno li trattano come tali. Le rimostranze europee che invocano “umanità” nella gestione degli sbarchi significano ben poco. Dopo le dichiarazioni ipocrite con le quali all’inizio della guerra in Ucraina i leader europei avevano fatta a gara per mostrarsi benevoli e accoglienti verso le donne profughe in pelle bianca, adesso gli stessi leader sono tornati a trattare i migranti come semplice merce di scambio. Lo ha dimostrato chiaramente il presidente Macron, accogliendo con una mano i 243 migranti della Ocean Viking mentre con l’altra rifiutava i 3.500 che aveva promesso di ricollocare in Francia.

In tutti i paesi l’ingresso legale per i migranti è una vera e propria lotteria, il cui eventuale premio finale consiste in lavoro precario e povero, segnato dal ricatto e dallo sfruttamento sotto il marchio del permesso di soggiorno. Lo vediamo ogni giorno a Bologna, nei ritardi di Questura e Prefettura nella consegna dei permessi di soggiorno elettronici per le profughe ucraine che vivono una vita sospesa mentre sono costrette a essere sfruttate nelle case e nei lavori di cura. Lo vediamo negli insopportabili ritardi di più di otto mesi nel rinnovo dei permessi di soggiorno per lavoro che impediscono alle donne e uomini migranti che vivono qui da anni di muoversi liberamente alla ricerca di un lavoro migliore, di fare ritorno nei loro paesi di provenienza per le vacanze, di accedere ai più elementari servizi. Lo vediamo nei grandi centri di accoglienza come il Mattei che funzionano come dormitori per forza lavoro da sfruttare per i magazzini dell’interporto e le fabbriche della città metropolitana.

Rompere questi meccanismi non è facile. I migranti e le migranti, con le loro lotte e il loro movimento, dimostrano ogni giorno che i confini, il ricatto e lo sfruttamento non possono governare la loro libertà, i loro desideri, la loro ostinazione, neanche in tempo di guerra. Alimentare questa libertà, organizzare questa forza è quello che faremo contro la guerra e il regime dei confini, contro razzismo e sfruttamento, contro il ricatto del permesso di soggiorno.

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