Noi non siamo le donne del Presidente! Il 26 novembre e la nostra forza collettiva contro la violenza

Verso la giornata internazionale per mettere fine alla violenza maschile sulle donne il Presidente Giorgia Meloni ha parlato dell’aumento esponenziale dei femminicidi e degli stupri di guerra. Ha anche detto che la sua elezione è di per sé garanzia del suo impegno per le donne. Garantirà la certezza della pena e l’acquisto di nuovi braccialetti elettronici per assicurare la distanza degli uomini violenti, riducendo la violenza maschile a un fatto solo criminale anziché politico e sociale. Garantirà la professionalizzazione di tutti i servizi per dare alle donne vittime di violenza aiuto e sussidio, proseguendo nel lavoro di depoliticizzazione dei centri antiviolenza femministi le cui risorse continueranno a essere scarse. Per Meloni la violenza è politica solo quando si tratta di dare addosso ai migranti e promuovere la famiglia come cellula del suo ordine sociale. Si scaglia contro matrimoni forzati e mutilazioni genitali, ma poi sorvola sulla violenza domestica, interna ai matrimoni consensuali. Il Presidente ha detto con passione che le donne devono comprendere di non essere sole, di essere forti, di avere tutto l’appoggio che serve per non essere più oppresse e dominate dagli uomini. Questo appoggio è la manovra finanziaria, approvata mentre le pagine dei giornali sono disseminate di violenze domestiche e volti di donne ammazzate da killer-moralizzatori seriali, mariti fratelli o amanti. Al di là dei dettagli, è evidente chi intende premiare e chi colpire. Premia padroni e imprese, colpisce donne, migranti e poveri. Chi è “occupabile” non potrà beneficiare dei sussidi né rinunciare a lavori che siano anche solo di pochi giorni. Le famiglie con un figlio in cui c’è almeno una componente che lavora, anche una madre sola, potrebbero vedersi tagliati i sussidi di molto. Il passaggio dall’Isee al quoziente familiare ristabilisce una gerarchia sociale mettendo in scena una parità che non esiste: dove oggi moglie e marito sono tassati individualmente e la donna paga meno tasse perché solitamente guadagna meno di un uomo, con il quoziente familiare i coniugi sono tassati allo stesso modo indipendentemente da quanto guadagnano. In breve, alle donne non converrebbe lavorare, o almeno non converrebbe farlo troppo. Di sicuro le donne che lavorano non smetteranno di lavorare solo per accedere a un welfare misero destinato alle famiglie, ma la manovra mira a ridurre la loro autonomia e soprattutto giustifica socialmente la posizione in cui devono stare nella famiglia: una posizione subalterna e di servizio rispetto a chi la famiglia la comanda perché ha un reddito più alto. La famiglia, che nella sua campagna elettorale il Presidente ha definito ‘luogo di compensazione del welfare’, è la formula magica dei tagli alla spesa sociale. Senza parlare della beffa della pensione anticipata per le donne con due o più figli, che aumenterà l’età pensionabile per quelle che ne hanno uno soltanto oppure nessuno. Il Presidente fa di tutto in effetti affinché le donne possano capire che se vogliono un aiuto devono rispettare il loro dovere di essere madri. Che, come lavoratrici, devono accettare di essere precarie, ricattabili e sempre più dipendenti dai mariti. Mariti che sarebbe meglio avessero, e visto che sono in tante a rifiutarli, la Lega ha addirittura proposto ingenti incentivi al matrimonio in Chiesa. Infine che, anche se  combattuta con gli stupri che il Presidente dice di voler fermare, la guerra va sostenuta e finanziata. Che le donne migranti contano qualcosa solo come vittime della “appartenenza ideologica”, cioè religiosa e culturale, dei loro uomini, ma come donne e come madri valgono meno delle altre visti i criteri razzisti di accesso ai sussidi.

Chissà se Meloni si illude che le donne staranno in silenzio mentre lei cerca di difendere i loro doveri. Chissà che cosa dirà di fronte alla manifestazione del 26 novembre a Roma, quando migliaia di donne, persone lgbtq+, lavoratrici e migranti, faranno sentire la loro forza collettiva contro la violenza patriarcale e razzista difesa in ogni riga della sua politica finanziaria. Anche noi saremo in piazza il 26 novembre contro la violenza maschile e di genere. La lotta è la nostra forza collettiva, non quella di cui parla Meloni. Non la forza dell’obbedienza ai ruoli assegnati, ma quella del nostro rifiuto di qualsiasi forma di subordinazione. Noi non siamo le donne del Presidente. Siamo le femministe che credono in un unico merito: quello della loro libertà.

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