Ventiquattro coltellate.
Pamela è la settantesima vittima di femminicidio in Italia dall’inizio dell’anno.
La violenza maschile non ha classe né razza, ma questa volta l’uomo che ha ucciso è un imprenditore con le chiavi di casa. Un uomo che non ha accettato un no, e dall’alto del suo potere sociale di maschio e padrone ha deciso che sarebbe stato suo diritto togliere la vita a una donna. Il punitivismo del governo Meloni non è una risposta adeguata. Ma non sono neanche i tribunali, né le forze di polizia a poter fermare il tentativo di mettere brutalmente a tacere la libertà delle donne e delle persone lgbtq*. Lo dice la rete D.iRe e le centinaia di donne che hanno partecipato in questi mesi a un percorso di comunicazione e mobilitazione contro il piano antiviolenza e l’intesa Stato-regioni del governo Meloni. Da mesi questo percorso sta denunciando la recrudescenza della violenza maschile, esacerbata dalla guerra e dalla sua logica autoritaria, che si traduce nel definanziamento dei centri antiviolenza e nel tentativo di renderli un servizio generalista, affidato anche a chi non ha una storia, un’esperienza, né tanto meno una prospettiva politica femminista capaci di sostenere coloro che hanno subito e non vogliono più subire la violenza maschile.
Proprio oggi (16.10.2025) la commissione Cultura della Camera ha approvato un emendamento per vietare l’educazione sessuale e affettiva anche alle scuole medie, sostenendo che sia un’occasione per diffondere la cosiddetta “ideologia gender”. Ai ruoli sociali e alle gerarchie sessuate ci si deve abituare sin da piccoli, e infatti da una decina di giorni è stato avviato un percorso parlamentare che mira a colpire i percorsi di scelta dell’identità di genere attraverso la restrizione delle pratiche farmacologiche, mentre il nuovo Piano nazionale per la famiglia fa delle donne risorse da sfruttare in una generale riaffermazione della famiglia come “agente di mercato” che può sussistere solo attraverso il lavoro gratuito delle donne o magari quello salariato di una lavoratrice migrante.
Non è un caso che queste misure arrivino mentre il governo Meloni si prepara a stanziare 20 miliardi in più per la difesa, disinvestendo nelle spese sociali – dalle scuole, alla sanità, ai centri anti-violenza – ma impegnandosi a consolidare un’ideologia militarista di cui il patriarcato è un pilastro fondamentale. Eppure, anche se in forme spesso non coordinate, migliaia di donne e persone lgbtq* stanno rifiutando tutto questo.
Le donne, le madri e le lavoratrici scese in piazza in queste settimane contro la guerra e il genocidio in Palestina, contro la precarizzazione e l’impoverimento dei salari, le migranti che sfidano i confini, il razzismo istituzionale e l’irrigidimento delle regole sul ricongiungimento familiare e la cittadinanza, le insegnanti che si organizzano contro le linee guida che vogliono irregimentate la scuola in una formazione nazionalista basata su ordine e disciplina, le madri che non intendono pagare sulla propria pelle lo smantellamento ulteriore del welfare e le politiche familiste, e che non ammettono che i loro figli e figlie debbano diventare un giorno soldati, le operatrici dei centri antiviolenza che stanno contestando la cancellazione del patrimonio femminista delle lotte che ha portato alla creazione stessa dei centri; le operaie che stanno lottando contro i licenziamenti, pagando in prima persona gli effetti della guerra sulle linee transnazionali della produzione: il confronto e l’organizzazione di queste soggettività in lotta sono la risposta alla violenza patriarcale.
Il 25 novembre, giornata mondiale contro la violenza maschile e patriarcale, sarà il momento per portare in tutte le piazze l’urlo femminista contro chi risponde alla nostra libertà con la violenza patriarcale, contro chi vuole far valere il proprio potere economico per annientare le donne, contro governi e istituzioni che legittimano la violenza e applicano la logica di guerra per silenziare le nostre lotte. La violenza maschile non è un fatto privato e individuale ma ha bisogno di una forza collettiva femminista e migrante che la rovesci.
Coordinamento Migranti Il Coordinamento migranti Bologna e provincia è nato nel 2004.
