L’8 marzo scioperiamo contro la guerra, ci ribelliamo contro il razzismo, sfidiamo ancora il patriarcato!

L’8 marzo anche per noi sarà sciopero femminista e transfemminista.

Scendiamo in piazza come migranti e come donne, scendiamo in piazza per tutte quelle che, anche se non potranno essere con noi, non hanno mai smesso di ribellarsi contro la violenza maschile e il razzismo. Scendiamo in piazza perché non accettiamo una guerra che alimenta la violenza patriarcale, mettendo a rischio ancora una volta la vita di migliaia di donne, uomini, persone Lgbtq+, lavoratrici, migranti. Scendiamo in piazza perché combattere contro la guerra significa rifiutare che milioni di persone, per sfuggire alle bombe, debbano accettare di essere rinchiuse in un campo profughi e sfruttate in condizioni miserabili in tutti gli angoli d’Europa. L’8 Marzo scioperiamo contro la violenza patriarcale, quella razzista e contro la guerra che le alimenta!

ph Michele Lapini, Bologna, 8 marzo 2017.

Quel giorno scenderemo in piazza anche contro i piani di ricostruzione attraverso cui l’Europa proclama di voler realizzare la «parità di genere», di voler cancellare le disuguaglianze tra uomini e donne. Grandi promesse che nascondono una sola verità: che le donne dovranno continuare a sostenere la gran parte del lavoro domestico e di cura, e che alcune potranno diventare ‘più uguali’ mentre altre dovranno accettare di rimanere in posizioni subordinate. Nei piani di ricostruzione non c’è nemmeno una parola sul razzismo istituzionale e sul permesso di soggiorno che costringe le donne migranti a lavorare per salari miseri pur di rinnovare i documenti, nelle case oppure nei servizi di pulizia, nelle fabbriche, negli ospedali o nella logistica. I piani di ricostruzione rendono invisibili le nostre vite e approfondiscono le gerarchie tra le donne. Per noi l’8 marzo è l’occasione di far sentire la nostra voce e lottare insieme contro il razzismo che produce disuguaglianza!


Spesso per noi migranti lavorare significa accettare ogni condizione per rinnovare il permesso di soggiorno, ma accettare ogni condizione significa anche dover rinunciare alle proprie aspirazioni, rischiare di perdere i propri figli perché considerate incapaci di crescerli: salari miseri, affitti impossibili, case popolari che non si riescono mai a ottenere, bonus che sono una maratona tra uffici in cui veniamo spesso maltrattate, cittadinanza e documenti dietro ai quali perdiamo anni della nostra vita e moltissimi soldi. In Italia è stato istituito l’assegno unico per i figli e viene presentato come una grande conquista. Anche le donne migranti con un permesso di soggiorno superiore a sei mesi possono chiederlo, ma per molte è comunque difficile ottenerlo, soprattutto se si contano i ritardi delle questure per rinnovarci i documenti, aumentati durante la pandemia. Richiedere l’assegno unico per il figlio è una lotta contro ex mariti e istituzioni, perché se siamo separate e il nostro ex compagno lo richiede siamo costrette per legge a dividere con lui l’assegno anche se figlie e figli abitano con noi e siamo soltanto noi a occuparcene ogni giorno. L’8 marzo è l’occasione urlare a voce alta che siamo stanche di essere schiacciate da politiche che danno ai padroni e a uomini violenti un potere su di noi!


Il governo ha risposto alle rivendicazioni del movimento femminista istituendo un “reddito di libertà”. Si tratta di un’altra misura razzista. Non è possibile accedere al reddito di libertà senza avere i documenti in ordine: ancora una volta, la nostra libertà è vincolata al permesso di soggiorno di mariti e padri violenti. I servizi e i sussidi proposti dai governi ripropongono la famiglia come uno spazio sicuro, libero da conflitti e da ricatti. Ma così non è e non è mai stato. Il governo taglia i fondi dei centri antiviolenza gestiti dalle donne mentre affida i percorsi di fuoriuscita dalla violenza ad associazioni e cooperative che non hanno nessuna esperienza femminista e dichiarano di voler restituire l’autonomia economica alle donne facendole lavorare in cambio di salari bassissimi. Spacciano lo sfruttamento per libertà e autonomia. L’8 marzo è il momento in cui mostreremo che non si può combattere la violenza maschile senza dire di no al razzismo e allo sfruttamento!


Siamo donne migranti, lavoratrici, giovani, precarie, madri. Non siamo vittime, abbiamo resistito a tutto questo non solo per noi ma per tutte e tutti. La pandemia ha aggravato problemi che denunciamo da sempre: il razzismo del permesso di soggiorno, l’indipendenza che con esso viene negata a noi e ai nostri figli, lo sfruttamento che alimenta nei posti di lavoro, la violenza maschile e patriarcale a cui ci espone. La pandemia ha provato a dividerci, a isolarci, ha creato nuovi ostacoli, ci ha rese più povere. Ma nemmeno di fronte a tutto questo ci siamo arrese. Abbiamo combattuto contro queste divisioni, quotidianamente, parlando tra noi, continuando a esporci. Anche quando siamo state attaccate dai padroni e usate dai governi abbiamo continuato a lottare, a rifiutare di essere solo “lavoro essenziale” sottopagato, licenziabile e ricattabile. Abbiamo dimostrato che solo lottando si può vincere, lo abbiamo fatto contro la Yoox e contro altre aziende e cooperative. Questo 8 marzo abbiamo di nuovo la voglia e la forza di gridare che le nostre vite e la nostra lotta sono essenziali e che non staremo a guardare femminicidi e attacchi razzisti senza fiatare.

Oggi più di sempre scioperare vuol dire alzare la testa e dire no. Per questo l’8 marzo per noi sarà sciopero femminista e transfemminista. Quel giorno scenderemo in piazza insieme a Non Una di Meno per gridare che le nostre vite sono essenziali e che non cediamo al ricatto di chi ci vuole a testa bassa. Lo faremo per tutte le donne, soprattutto per quelle che non potranno scioperare o essere con noi in piazza.

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